Quando penso all’evoluzione culturale del consumatore medio di caffè o meglio all’evoluzione della consapevolezza generale della qualità della bevanda ricevuta, mi viene in mente la famosa teoria dell’effetto farfalla.
Ora paragonare quel battito d’ali dell’insetto, causa possibile di un uragano a migliaia di chilometri di distanza, al lavoro del nostro barista sembra assai azzardato.
Eppure se riflettiamo bene sullo sviluppo dell’intera filiera del caffè prima di arrivare ad essere bevanda nella nostra tazzina in bar, forse l’accostamento non apparirebbe così iperbolico. Anzi.
Come può un mal pagato e spesso mal contrattualizzato “operatore del settore” diventare il nostro eroe al servizio della salvezza dell’intero pianeta?
Facciamo un passo indietro per capirci qualcosa di più e analizziamo un meraviglioso concetto: quello della sostenibilità.

Quando si parla del prodotto più commercializzato al mondo dopo il petrolio, non parlare di sostenibilità è un vero e proprio atto criminale.
Non ci credete?
Prendete ad esempio il maggior esportatore di caffè mondiale: Il Brasile.
Nel paese le piantagioni di caffè, una pianta sempreverde che trova il suo ambiente ideale in luoghi caldi e umidi come quelli delle foreste subequatoriali, coprono 2.400.00 ettari di terreno. Ora se si collega l’incredibile capacità di una sempreverde di preservare il territorio e di abbattere l’emissione di CO2 all’uso spropositato nella grande industria di pesticidi chimici che questi stessi terreni li rendono malati alterandone le stesse falde acquifere, il sospetto di un collegamento comincia a far breccia tra le nostre sinapsi mentali.
ostenibilità è un concetto vasto che abbraccia l’ambiente, ma non solo.
Un caffè sostenibile non rispetta solo il territorio dove viene coltivato, quindi strettamente connesso all’idea che stiamo maturando in questo decennio di “prodotto biologico”, ma rispetta la società che lo produce nel suo insieme.
I tasselli cominciano ad aumentare: si parte dalla tazzina e si arriva alle persone.
Quelle reali. Le stesse che dall’altra parte del globo chiedono che vengano rispettate le norme basilari delle condizioni di lavoro. Che pretendono l’accesso a una vita, non solo lavorativa, che garantisca quei diritti alla salute e all’istruzione imprescindibili all’occhio di una società minimamente civile.

Credo che si cominci a mettere proprio male per il nostro barista.
Perché il suo stato subalterno non lo esime dall’esclusiva responsabilità di estrarre (e farlo possibilmente bene sopratutto) tutto questo nella tazzina che pone di fronte al proprio cliente.
La scelta di un caffè sostenibile è un atto rivoluzionario che rispetta l’ambiente, la società di persone che ci vive e la trasparenza del prodotto stesso attraverso la sua piena tracciabilità.
Che rispetta, elemento non trascurabile, la bontà oltretutto di quest’ultimo.
Il compito del nostro eroe è non solo quello di sopravvivere a un mondo del lavoro decisamente malato ma, come tutti gli eroi che si rispettino, quello di divulgare un messaggio altamente positivo.
Di rispetto di un ambiente e di un commercio sano ed equo solidale.
Bene, adesso finalmente riusciamo a vederlo con chiarezza.
Eccolo proprio lì, dietro al bancone del bar, a batter le proprie ali per migliorare dall’altra parte del globo le sorti del nostro pianeta.
Articolo pubblicato su : www.mangiatebene.it
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