Si comprende subito quando un percorso didattico non convince.
Personalmente a me accade ogni qualvolta mi imbatto in un aggiornamento personale (che per un trainer dovrebbe rappresentare il pane quotidiano) e di riflesso sento l’esigenza di riportarlo in una lezione, a supporto di una migliore comprensione del corsista.
Questa situazione mi si è presentata più volte nel corso degli anni e mi ha portato in dote continui aggiornamenti dei percorsi didattici qui in laboratorio.
Il più significativo tra questi è stato quello apportato al corso di caffetteria base, il primo responsabile di questa piccola rivoluzione è stato il concetto di “channelling”.
Tuttora mi risulta incredibile constatare come spesso non rappresenti il volano principale per la comprensione dell’importanza di corrette working routines nei corsi di caffetteria, sopratutto quelli di primo livello.
Ogni qual volta mi imbatto in una lezione da “25secondiper25mledocchioallatigratura” un principio di frustrazione si abbatte spietato sul mio sistema gastrointestinale.
Si punta al dito trascurando la Luna indicata, su tutti il nostro “channelling” appunto.
Ma che cos’è?
Tecnicamente il channelling è un’irregolarità critica della nostra cialda di caffè durante l’estrazione, dove una grande quantità di acqua utilizzata per l’infusione passa attraverso un area localizzata.
Questo comporta un’eccessiva estrazione di molecole polifenoliche di grandi dimensioni, solitamente poco solubili in acqua ma che si possono dissolvere se localizzale all’interno appunto di un “canale”. Esse sono responsabili di sapori amari e cinerei assai sgradevoli.
Se concentriamo l’attenzione su ciò che accade all’interno di un filtro e di come l’acqua interagisce con il macinato di caffè, ci ritroviamo di colpo a rivoluzionare il senso stesso dei concetti di sotto e sovra estrazione.
Facciamo il più classico degli esempi : una macinatura eccessivamente fine.
Cosa succede alla nostra estrazione? Ci hanno abituato per decenni a limitare l’osservazione al tempo di infusione e all’analisi visuale di una schiuma. Vi pare sufficiente?
Una macinatura eccessivamente fine aumenta indubbiamente la resistenza all’acqua della cialda del nostro caffè, aumentando a sua volta pressione e tempo di contatto dell'acqua.
Aumenteremo quindi indubbiamente l’estrazione ma oltre un certo punto (vedi grafico) le particelle di caffè tenderanno ad aggregarsi e a formare canalizzazioni riducendo l’estrazione stessa.
Avremo una sovra estrazione della parte canalizzata e, nei casi più estremi, allo stesso tempo una sotto estrazione del resto della cialda di caffè (acidità fuori asse).
Una macinatura fine, se non coadiuvata da importanti fenomeni di canalizzazione, può regalarci anche estrazioni più dolci e corpose del solito (ben oltre l’extraction field suggeritaci del 22%) e totalmente prive di amarezze! (Scott Rao insegna).
Quindi affrontiamo decisi il nostro “mostro” consapevoli che non riusciremo mai a sconfiggerlo totalmente ma possiamo attenuarne, e di molto, gli effetti spiacevoli.
Ma come? Innanzitutto attenzione a una corretta working routine ragazzi!
Recentemente sono entrato in un bellissimo nuovo locale a Trieste ed ho chiesto entusiasta un espresso monorigine.
Devo confessarvi ora che l’accaduto è stato principale fonte di ispirazione per questo articolo.
In ordine:
Primo errore: pulizia approssimativa del portafiltro e mancato flussaggio d’acqua dalla doccetta della macchina del caffè espresso. Inevitabilmente l’acqua preferirà passare attraverso l’umidità del macinato residuale già estratto. Abbiamo aperto le porte al channelling !
Secondo errore : due/tre shot macinati senza verificarne il peso con una bilancia. Se perdiamo per strada la dose del nostro caffè salutiamo gli equilibri di portata/resistenza (acqua/caffè) favorendo una forte canalizzazione!
Terzo errore: Mancata distribuzione del macinato nel filtro: una distribuzione uniforme aiuta a livellare bene la cialda del nostro caffè e calmiera fenomeni di channelling.
Quarto errore: Forte pressatura, breve “tocco a campana” del tamper sul portafiltro (un grande classico intramontabile quanto “Una poltrona per due” a Natale) e di nuovo pressatura prima dell’erogazione. Partendo dal presupposto che sia in termini di sapore che di tempi di estrazione non cambia nulla pressare a 10, 15 o 20 kg è altresì fondamentale pressare in maniera corretta e piana. E' quel “tocco a campana” che ci condanna a un pessimo lavoro perché non combina altro che estremizzare rotture e, appunto, canalizzazioni all’interno della nostra cialda di caffè.
Inevitabile risultato è stato una tazzina di caffè con un’acidità fuori asse e forte retrogusto amaro con un principio di astringenza a seccarne il palato.
Una vera delizia vero?
Questo breve articolo non ha la finalità di esaurire un concetto vasto come quello del channelling (turbolenza, tipologia di tostatura, legge di Poiseuille e gestione della pressione in pre-infusione sono subito lì pronte a complicarci la vita!) ma è un invito, completamente scevro da presunzione, ai miei colleghi a cambiare le carte in tavola nei propri percorsi didattici di base.
La profonda comprensione per il barista di ogni singolo gesto lavorativo, ritenuto a volte banale, è fondamentale per costruire solide fondamenta di professionalità e tazzine di caffè degne di un riconoscente complimento.
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